Andrea Spagnoli – avvocato tributarista

Con la sentenza 7 marzo 2024, resa nella causa C-341/22, la Corte di Giustizia UE ha stabilito l’incompatibilità della disciplina nazionale sulle società di comodo, nella parte in cui preclude il diritto alla detrazione IVA, rispetto alle regole che governano il sistema dell’imposta sul valore aggiunto e, in particolare, rispetto al principio di neutralità dell’IVA. La presunzione relativa prevista dall’art. 30, l. n. 724/1994 eccede quanto necessario per prevenire i fenomeni di evasione o abuso, con conseguente illegittimità del diniego all’esercizio del diritto di detrazione. La suddetta presunzione si basa esclusivamente sulla valutazione del volume di ricavi che, di per sé, non può essere indicativo del carattere fraudolento delle operazioni effettuate o dell’esistenza di una costruzione artificiosa finalizzata all’esclusivo conseguimento di vantaggi fiscali.

Il caso di specie.

Nel caso posto all’attenzione della Corte di Giustizia, l’Amministrazione finanziaria italiana ha negato l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA ad una società considerata non operativa (c.d. “società di comodo”) in quanto l’importo delle operazioni soggette ad IVA dichiarate da quest’ultima era inferiore alla soglia prevista dal legislatore all’art. 30 della l. n. 724/1994. La società, inoltre, non aveva raggiunto tale soglia per tre esercizi consecutivi.

Il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la qualità di soggetto passivo e, di conseguenza, il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte possano essere negati ad una società che effettua operazioni rilevanti ai fini IVA senza però raggiungere la soglia di reddito prevista dalla normativa.

La disciplina nazionale delle società di comodo.

La disciplina delle società di comodo – prevista dall’art. 30 della l. 724/1994 – si pone l’obiettivo di disincentivare la costituzione di società di mero godimento che, nella sostanza, difettano del requisito dell’imprenditorialità. Si tratta di società che non svolgono attività operativa e che vengono utilizzate per la mera intestazione di beni, immobili ovvero partecipazioni.

Le società di comodo sono individuate attraverso un meccanismo di calcolo, in virtù del quale, se la società non raggiunge un determinato ammontare di ricavi, ottenuto applicando ai cespiti ad essa intestati delle percentuali previste dal legislatore, si considera non operativa, con la conseguenza, sotto un profilo IVA, di subire limitazioni nella compensazione, nel rimborso e nella cessione del credito IVA.

I principi affermati dalla Corte di Giustizia UE.

Con la prima questione viene preso in considerazione l’art. 9 della direttiva n. 2006/112/CE, ai sensi del quale si considera “soggetto passivo” chiunque eserciti un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività. Ne discende, dunque, il carattere oggettivo di detta attività, la cui rilevanza ai fini del riconoscimento della soggettività passiva non può essere subordinata ad alcun elemento di carattere quantitativo, come il volume di ricavi che possono ragionevolmente attendersi da essa. A tal riguardo, a rilevare è l’effettivo esercizio di un’attività economica.

Appurato, dunque, che la qualifica di soggetto passivo IVA sussiste indipendentemente dalla quantità di ricavi conseguiti, la Corte di Giustizia affronta la questione della legittimità del diniego del diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti previsto in capo alle società c.d. di comodo, in considerazione dei principi di neutralità e proporzionalità.

Sul punto, la Corte di Giustizia ribadisce che il diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA, teso a garantirne la neutralità e, come tale, ne costituisce parte integrante del meccanismo applicativo, con la conseguenza che può essere negato solo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che sia stato invocato fraudolentemente o abusivamente.

Dunque, l’esercizio del diritto alla detrazione non può essere subordinato al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini IVA, effettuate dal soggetto passivo in determinato arco temporale, raggiunga una specifica soglia.

Prima applicazioni nazionali.

Dal valore cogente delle sentenze della CGUE discende l’obbligo per il giudice nazionale di interpretazione conforme delle leggi nazionali e di disapplicazione delle norme in disaccordo con le pronunce della Corte di Giustizia UE.

In tale contesto, si è pronunciata di recente la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio (sentenza 2403/2024), la quale ha riconosciuto il diritto al rimborso di una società di comodo disapplicando l’art. 30 della l. n. 724/1994.

 

 

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